IL MOSTRO AMNIT DEL “LAGO DELLA VERITÀ” DI MAÂT
Il “Lago della Verità” nei cartigli dei faraoni
Nell’iconografia dei geroglifici dell’antico Egitto l’immagine del “Lago della Verità” dell’illustrazione 1, tratta dal papiro dello Scriba Ani, é insolita, mentre è nota l’immagine di un semplice rettangolo come quello dell’illustrazione 2 in cui la testa della dea Maât, con la piuma sul capo, si erge sul suo lato di sinistra.
Molto diffusamente il rettangolo lo vediamo inserito nei cartigli dei faraoni, come si vede nell’illustrazione 3. In particolare, nell’illustrazione 4, il rettangolo è accompagnato dalla piuma di Maât e da un altro segno a mo’ di dentellatura: si legge imn e significa amun/amen/amon, cioè il dio Amon. (1)
Nella vita pratica il rettangolo sta per tavolo di gioco (2) o stagno (senza dentellatura) (3). Amon, letteralmente il Misterioso o il Nascosto, è una divinità appartenente alla religione dell’antico Egitto. Grazie alla sua unione con il Dio Ra di Eliopoli fu adorato a importanza nazionale e divenne Amon-Ra.
Il Papiro di Ani è una delle versioni più complete del Libro dei Morti che abbiamo in possesso, da cui deve la sua fama. Fu composto durante la XIX dinastia, intorno al 1275 a.C., per Ani, scriba reale di Tebe, e sua moglie Thutu, sacerdotessa di Amon. (4)
L’immagine del “Lago della Verità” di Maât dell’illustrazione 1 è una sorta di simbolico purgatorio per i defunti, che in esso troveranno appunto la purificazione dalle colpe e dai peccati commessi in vita. Il lago è sorvegliato da quattro babbuini o cinocefali, animali sacri a Thoth. E’ a questi che l’anima del defunto si rivolge per impetrare la necessaria e dovuta catarsi. Sposo e “fecondatore” di Maât, la suprema entità divina della giustizia, dell’armonia, della misurazione e scrittura. Con ciò si comprende molto bene che con la natura e funzione di Maât e il suo sposo Thot va considerata anche la natura e funzione dei quattro babbuini posti ai quattro angoli del rettangolo del “Lago della Verità”. Vedremo fra poco che i babbuini sono patroni dei polmoni dei defunti e preservati in un vaso posto accanto ad essi nella sepoltura. Essi se rappresentano i quattro punti cardinali del mondo celeste legato a Maât, più intimamente si legano a uno dei quattro figli di Horus che è configurato nel panteon egizio come un babbuino, appunto.
Figli di Horo (illustrazione 6) è il nome che, nella mitologia egizia, viene attribuito alle quattro divinità preposte alla protezione degli organi interni dopo la mummificazione. Il cervello era escluso e veniva buttato via. Secondo la tradizione i quattro figli di Horo collaborarono con il dio Anubi nell’imbalsamazione del corpo di Osiride e divennero per questo patroni dei canopi (vasi, generalmente di alabastro, dove erano conservate le interiora dei morti e venivano assieme alla mummia del cadavere riposti nella camera sepolcrale) (illustrazione 5).
I quattro figli di Horo, che peraltro indicano anche i punti cardinali come già detto, sono:
- dwa mwt f – Duamutef (significato: “che loda sua madre“), raffigurato con la testa di sciacallo, preposto alla conservazione dello stomaco del defunto ed indicante l’Est
- hp y – Hapi, raffigurato con la testa di babbuino, preposto alla conservazione dei polmoni, il Nord
- im s t i – Imset, o “Hamset”, raffigurato con testa umana, preposto alla conservazione del fegato, il Sud
- qbh sn w f – Qebehsenuf, raffigurato con la testa di falco, preposto alla conservazione degli intestini, ed indicante l’Ovest.
I figli di Horo erano, inoltre, posti in relazione con quattro dee preposte alla custodia dei quattro angoli del sarcofago reale. Le coppie erano:
- Imset – Iside
- Hapi – Nefti
- Duamutef – Neith
- Qebehsenuf – Selkis.
Il Lago della Verità spiegato dall’Alchimia
Come si spiega che ai quattro lati del “Lago della Verità” di Maât, l’autore dell’immagine, tratta dal papiro di Ani, ha posto quattro babbuini e non gli altri tre figli di Horo? Non c’è altra spiegazione che si tratti del mondo proprio a Maât, quella dell’aria (lo attesta la sua piuma) che si lega ai polmoni, di cui Hapi, raffigurato come babbuino, è patrono.
Ho detto in precedenza che il Lago della Verità diventa una sorta di simbolico purgatorio per i defunti, in cui troveranno appunto la purificazione dalle colpe e dai peccati commessi in vita. Il lago è sorvegliato da quattro babbuini o cinocefali, animali sacri a Thoth. E’ a questi che l’anima del defunto si rivolge per impetrare la necessaria e dovuta catarsi. Ma ora va compreso meglio il segreto riposto in questa operazione che in apparenza si riferisce ai rituali funebri, ed è anche così. Si tratta invece di un’accurata descrizione di rituali d’iniziazione di chi si dispone, nel caso di Ani, ad essere accolto come scriba egizio: è la sua storia di iniziato alle pratiche esoteriche. Ani si conosce come sovrintendente dei due granai di Abydos e scriba reale vissuto a Tebe durante la XIX dinastia. Tutti gli altri come lui affrontavano un tirocinio nei templi di quattro anni, durante i quali venivano addestrati con la massima severità, ricorrendo, talvolta, a punizioni corporali. Lo scriba poteva, inoltre, specializzarsi in studi religiosi per diventare sacerdote, oppure disporsi per la via della medicina. Il più delle volte gli scribi finivano per compiere studi di aritmetica, di geometria e di amministrazione, per diventare funzionari del Faraone o amministratori di un gran signore o di un ricco tempio. Ma è vero anche che il libro dei morti, a lui dedicato, lasciano capire che si tratti ben più di uno scriba.
Sappiamo che la cultura misterica dei sacerdoti egizi si deve Ermete Trismegisto una figura leggendaria – associata anche al dio egiziano Thot – a cui è attribuita la fondazione della corrente filosofica nota come ermetismo. È stato definito “tre volte grande”, cioè il più grande filosofo, il più grande sacerdote e il più grande re. E’ ritenuto l’autore del Corpus Hermeticum, una raccolta di scritti con elevati contenuti spirituali.
Detto questo, allora dire ermetismo è come riferirsi all’alchimia, perciò per capire – mettiamo – il mistero esoterico legato al tema in corso sulla prova iniziatica di Ani descritta nel suo papiro, è indispensabile ricorrere a nozioni alchemiche.
Il rituale esposto nel papiro in questione descritto in termini alchemici, si può racchiudere in questa frase detta in latino: «Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem», che significa «Visita l’interno della terra, operando con rettitudine troverai la pietra nascosta». La frase continuava alle volte con le parole Veram Medicinam, a indicare che la pietra è anche il «vero rimedio» per ogni malattia, in tal caso l’acronimo diventava VITRIOLUM. Di qui l’acronimo V.I.T.R.I.O.L., un celebre motto dei Rosa+Croce e simbolo della Massoneria, comparso la prima volta nell’opera Azoth del 1613 dell’Alchimista Basilio Valentino.
L’espressione stava a indicare l’esigenza di scendere nelle viscere della terra, cioè negli anfratti oscuri dell’anima, per conseguire l’iniziazione, operando quella trasmutazione della materia nello spirito che avrebbe permesso di conseguire l’immortalità e riportare alla luce la sapienza, (5) attraversando le diverse fasi dell’Opera alchemica, cioè Nigredo, Albedo, Rubedo.
Detto in senso traslato, a tal fine occorreva appunto un acido come il vetriolo in grado di sciogliere anche la pietra più dura e provocare le trasformazioni più radicali. Spesso era simbolizzato da un leone verde intento a divorare il sole, capace cioè di di sciogliere l’elemento più elevato e incorruttibile, conferendo un potere totale e illimitato. Il leone verde è chiamato con altri nomi, per esempio Vitriol, o Smeraldo dei Saggi (chiamato anche Graal Vetriolico).
Nell’iconografia egizia il leone era molte volte ritratto in coppia con lo sguardo di uno rivolto all’orizzonte opposto dell’altro per disegnare l’arco del sole dal suo sorgere al tramonto. Lo stesso significato fu ripreso dai filosofi alchemici che affidarono all’immagine del Leone giovane quella dell’alba e al Leone vecchio e malato quella del tramonto. Di qui nacque la distinzione alchemica tra Leone verde e rosso che materializzavano l’uno l’inizio e l’altro la fine dell’opera. L’oro era quindi il Leone rosso che divorava quello verde e l’inquietante visione voleva essere il geroglifico del tortuoso percorso che l’iniziando doveva compiere per raggiungere la perfezione passando attraverso la lavorazione della materia prima cruda, il fuoco iniziatore, lo zolfo filosofico e finendo con l’ottenimento del re dei metalli, la polvere di proiezione, la Pietra Filosofale.
Una delle tante immagini di questo leone verde che divora il sole è quella dell’illustrazione 8 cosa che avviene all’inizio dell’opera, ma alla fine, come già detto, è il contrario (l’immagine appare ad esempio nel Rosarium Philosophorum). Questo Leone è l’emblema del processo di estrazione della materia prima degli alchimisti. Si tratta di una sostanza “che tutti maneggiano ma nessuno sa riconoscere ed afferrare, che deve essere estratta dalla dura roccia, (ma badate, la roccia dei filosofi, non quella volgare!) con un acido che tutto corrode, con un Fuoco Segreto che solo gli alchimisti sanno preparare: il Leone Verde, appunto. (6)
Ma perché tanta insistenza sul leone verde? Perché nei geroglifici egizi si riferisce al terribile mostro Amnit che è presente nel giudizio dei morti, detto dell’ipocastasia, relativo al papiro di Ani del quale fra poco se ne parlerà. L’iniziando è infatti un “morto”, dal momento che si sottopone al rituale alchemico in trattazione, come se si calasse in una tomba. Cito di seguito delle note che stigmatizzano tutto il processo alchemico cui è sottoposto l’iniziando fino al volgere della fine dell’opera, e sono da tenere a mente.
Tratto dal Capitolo VII – (Eireneo Filalete: Introitus Aperru ad Occlusum Regis Palatium) Prima operazione. Preparazione del Mercurio Filosofico per mezzo delle Aquile volanti.
§ V. Da lì si formerà il nostro camaleonte o caos in cui sono celati tutti gli arcani, virtualmente e non in atto. Questo è l’infante ermafrodito che sin dalla culla è infetto dal morso del cane rabbioso di Corascena, per cui è preso da insana follia per una perpetua idrofobia, al punto che sebbene l’acqua gli sia la più vicina tra tutte le cose della natura tuttavia la aborre e fugge, o fati!
§ VI. Tuttavia nella selva di Diana sta una coppia di colombe che addolciscono la sua insana rabbia. Allora, perché non soffra di un ritorno dell’idrofobia, sommergilo con le acque e vi sprofondi. Non potendole sopportare, il nero cane rabbioso, quasi soffocato, sale sino alla superficie delle acque: mettilo in fuga con pioggia e sferzate, e le tenebre spariranno.
§ VII. Nel fulgore della Luna nel suo plenilunio procura penne in abbondanza e l’aquila volerà via, lasciando dietro di sé le colombe di Diana morte: se fossero morte alla prima ricezione non potrebbero essere utili. Ripeti così sette volte, e infine raggiungerai il riposo. Non ti resterà altra incombenza se non la semplice cottura, che è placidissima quiete, gioco di bambini e lavoro di donne.
Ricordo che Diana e Maât sono la stessa persona…
Il mostro Amnit del papiro di Ani
L’illustrazione 9 mostra un immagine del papiro della XVIII dinastia dei faraoni dell’antico Egitto rinvenuto nella tomba dello scriba Ani e conservato nel British Museum di Londra. Il dio Anubi attende al giudizio finale dello scriba Ani. La prova è superata e nella scena della seconda parte di questo papiro, Ani viene condotto alla presenza di Osiride, seduto in un tabernacolo a forma di sepoltura.
Vengo subito al leone verde dell’alchimia del quale conosciamo il suo lato tenebroso e velenoso, ma in compenso, in esso si cela il segreto alchemico risolutivo per la completa catarsi, nel nostro caso, del novello scriba Ani disposto a emendarsi da tutte le sue imperfezioni.
Nell’impianto egizio del papiro di Ani è il mostro Amnit (illustrazione 10) che prefigura il Leone verde e lo vediamo come se fosse un molosso al guinzaglio tenuto dal dio Thot preso per il giudizio di Ani cui il dio Anubi misura il peso del cuore.
Chi è Amnit nel panteon egizio dei reperti di dei e animali egizi? Ammit (chiamata anche Ammut, Ammet, Ahemait o Divoratrice) è una creatura mostruosa della mitologia egizia, nota anche come “Divoratrice dei morti”, “Mangiatrice dei cuori” e “Grande della morte”.
Ammit non era venerata; al contrario, impersonava tutto ciò che gli Egizi temevano, minacciando di condannarli ad un’eterna irrequietezza se non avessero seguito i principi di Maât. Le parti animali che ne compongono il corpo appartengono a specie molto temute in antichità (ippopotamo, leone e coccodrillo) pur considerate sacre.
La testa di Ammit è come quella del coccodrillo, la parte anteriore del corpo è di leone, mentre la parte posteriore assomiglia a quella dell’ippopotamo.
Secondo il mito della psicostasia se il cuore del defunto pesava più della Piuma di Maât veniva dato in pasto ad Ammit e la sua anima condannata all’oblio (non poteva cioè proseguire il suo viaggio nell’Aldilà, riabbracciare i suoi cari e godere delle gioie della vita ultraterrena). Ma nel caso dell’iniziazione di Ani, perché e così che va visto lo scenario del papiro in esame, sarà la Amnit, cioè il Leone verde alchemico a trasformare al bisogno l’anima di Ani che, con l’ausilio di Diana e le sue colombe, ovvero Maât e la sua Piuma, s’involerà per procedere nella fase successiva verso il dio Osiride assiso sul tabernacolo.
Basilio Valentino, un monaco benedettino del 1400, autore di numerosi libri di alchimia, fa luce sul processo alchemico che ha il suo principio e fine con la Materia Prima cui si lega il mostro Amnit, cioè il Leone verde. È simbolicamente rappresentata da un dragone alato sulla sfera terrestre, anch’essa alata, naturamente. Se ne parla nel suo libro dal titolo AZOTH, e questa di seguito è la descrizione che viene fatta sul suo conto a pag. 96: (7)
Io sono il Drago velenoso, presente dappertutto, che può essere acquistato ad un prezzo irrisorio. La «cosa» su cui riposo, e che su di me riposa, sarà trovata in me da chi saprà frugarmi come si conviene. La mia Acqua ed il mio Fuoco distruggono e compongono. Estrarrai dal mio corpo il Leone Verde e quello Rosso; se non mi conosci perfettamente, il mio Fuoco ti distruggerà i cinque sensi. […]
Io sono l’Uovo della Natura, che soltanto i Sapienti devoti e modesti conoscono, ed essi fanno nascere da me il microcosmo. […]
I Filosofi mi chiamano Mercurio, mio sposo è l’Oro (filosofico); sono l’antico Drago presente in ogni parte della terra; sono padre e madre, giovane e vecchio, forte e gracile, morte e resurrezione, visibile ed invisibile, duro e molle, discendente nella terra e da scendente al Cielo, grandissimo e piccolissimo, leggerissimo e pesantissimo; in me l’ordine della Natura è spesso invertito incolore, numero, peso e misura; contengo la Luce naturale, sono oscuro e chiaro, vengo dal Cielo e dalla terra, conosciuto e considerato poco o nulla. Tutti i colori in me risplendono, e cosi tutti i metalli attraverso i raggi del sole. Sono il rubino solare, una terra nobilissima e chiarificata, per cui mezzo tu potrai trasmutare in oro il rame, il ferro, lo stagno ed il piombo.
Il dragone afferma di essere il rubino solare ed è per la stessa ragione che il Leone verde è chiamato Smeraldo dei Saggi e addirittura Graal Vetriolico. Ma passiamo ora alla descrizione di Amnit così come appare nel papiro di Ani nel particolare dell’illustrazione 10.
Si nota subito che la bestia è come se galleggiasse con le zampe posteriori, quelle dell’ippopotamo, su uno stagno e si capisce subito che è il “Lago della Verità”. Se affonda, cosa che porta a capire che si tratta del sovrappeso del cuore di Ani che prevale sul peso della Piuma di Maât, Amnit lo divora, al contrario la prova è superata.
A questo punto come si fa a capire in modo grafico la meccanica del processo di catarsi che, solo attraverso la luce eterica che nasce nel soggetto Ani iniziato dal faraone capo dei sacerdoti, questo scopo si attua?
Ma il nostro Ani, attraverso i suoi papiri fa qualcosa di più dei soliti alchimisti, ancor più del suo maestro Ermete Trismegisto.
Come già accennato, Amnit poggia con le zampe anteriori sulla parte solida del “Lago della Verità” mentre le zampe posteriori galleggiano sul liquido del Lago. E così sembra di capire che è sistema che galleggia fulcrato sulle zampe anteriori.
Dunque si può ipotizzare che Amnit, con la parte posteriore di Ippopotamo, funga da otre ripieno di gas in pressione attivato da una pompa sotto la sua ascella, che esprime la forza propulsiva. Però può essere che la pressione abbia un calo e per conseguenza l’otre si affloscia immergendosi nel liquido sottostante. E allora finché la bestia galleggia Ani è salvo, altrimenti è condannato, perché in seno ad Amnit è il suo “Sole”, un leone vecchio al tramonto. Ricordiamoci dell’immagine del leone verde che divora il sole dell’illustrazione 5.
E qui, ora viene il bello del lato della ricerca che si sta facendo sul conto di Ani. Dunque ci siamo resi conto della necessità della funzione di “pallone gonfiato” di Amnit, in più riscontriamo dei dettagli che solo la fisica meccanica spicciola ne chiarisce la funzione specifica perchè sia, a tutti gli effetti, come un serbatoio a pressione. Chi non sa che per comprimere un gas e introdurlo in un serbatoio ha bisogno di un compressore? E’ una funzione che si esplica grazie una sorta di ruota a palette che gira velocemente del tutto simile ad un comune ventilatore, e a quella disegnata in corrispondenza dell’ascella di Amnit. E qui Ani sviluppa il principio idraulico delle turbine, cosa che gli viene suggerito dalle Sāqiya, macchine simili alle noria di origine islamica, quindi appartenente alla categoria delle ruote idrauliche, molto diffusa lungo il fiume Nilo al suo tempo per sollevare l’acqua. Il dispositivo è costituito da una serie di secchi oppure otri o pale a cucchiaio, azionati dalla forza di un animale che si muove circolarmente spingendo una barra collegata a un asse, il cui pignone invia la rotazione a un ingranaggio posto in verticale. L’ingranaggio è formato da una puleggia che sposta la serie di secchi consentendo loro di sollevare l’acqua e di trasferirla in una canalizzazione o in un punto di raccolta.
Ci si chiede, poi, da dove e come proviene il presunto “gas”? Ma è chiaro perché proviene dalla parte addominale rappresentata da una serie continua di segni disegnati in bianco (per indicare “maggiore” in matematica), come se fosse una comune griglia d’areazione. Insomma si tratta dei polmoni e la loro ventilazione per immagazzinare aria necessaria per vivere. Il resto della comprensione della funzione propria del mostro Amnit è intuibile poiché, insieme all’aria, entrano attraverso la griglia bianca tanti micoscopici corpuscoli neri che invadono i polmoni e si apprestano subito a divorare tutto ciò che è malato. Allo stesso modo fanno invadendo tutti gli altri organi, come il cuore, il fegato e l’intestino. Vi consegue che nel caso di polmoni del tutti malati, non è possibile immagazzinare aria e la bestia Amnit affonda nel suo elemento infero dello stagno su cui galleggiava all’inizio, ed è la pena eterna dell’inferno per l’iniziato.
Ma per Ani è diverso perché, come già detto, supera la prova delle pesatura del cuore e infatti, nell’illustrazione 11, può avere la gioia di stare davanti a Osiride assiso nel tabernacolo in un successivo quadro dello stesso papiro. Lo vediamo che galleggia sul terso “Lago della Verità”.
Chissà che la pandemia del virus Covid-19 non sia una certa prova di una bestia Amnit epocale, forse quella dell’Apocalisse di Giovanni, per disporre la vita dell’uomo verso una retta via. Infatti è detto in questo libro sacro: «Dio infatti ha messo loro [la bestia e i re della terra – nda] in cuore di realizzare il suo disegno e di accordarsi per affidare il loro regno alla bestia, finché si realizzino le parole di Dio.». (Ap17,17).
Gaetano Barbella
(Brescia, 29 novembre 2020)
Note dell’articolo.
- Mark Collier – Bill Manley. Come leggere i geroglifici egizi . Vocabolario pag. 29. Edizione Giunti.
- Ibidem 1 ma codice F55 a pag. 143
- Ibidem 1 ma codice C17 pag. 137
- Il papiro fu composto unendo sei sezioni diverse, di lunghezza variabile tra 150 e i 540 centimetri, fino ad ottenere un rotolo lungo 235 centimetri per un altezza media di 42. La sua realizzazione è stata il frutto di un lavoro di equipe a cui parteciparono i scriba più importanti e i migliori illustratori. Dentro il Papiro di Ani ci sono oltre 60 formule, molte delle quali con bellissime illustrazioni. Il Papiro attualmente è custodito al British Museum. Contiene circa duecento formule dei primi Testi delle Piramidi e dei Testi dei Sarcofagi, apparentemente scritte da Thoth per conto di Osiride, che giudica i defunti e stabilisce la destinazione dell’anima del morto. Solo lui poteva dare la vita dopo la morte perchè lui stesso l’aveva ottenuta attraverso la resurrezione. Il libro è stato definito il “Vangelo di Osiride”, in quanto cerca di trasmettere gli insegnamenti esoterici che consentirebbero all’uomo di raggiungere la vita eterna dopo la morte. Questa può essere ottenuta solo se il defunto ha vissuto una vita pura e buona durante il suo periodo sulla terra.
- Marcello Fumagalli, Dizionario di alchimia e di chimica farmaceutica antiquaria. Dalla ricerca dell’oro filosofale all’arte spagirica di Paracelso, pag. 219, Mediterranee, 2000.
- http://www.esonet.it/News-file-article-sid-530.html
- Basilio Valentino. AZOTH, ovvero L’Occulta Opera Aurea dei Filosofi. Pag. 96. Ediz. Mediterranee